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Simile ad una grande cozza, più comunemente conosciuta come “nacchera di mare”, la Pinna nobilis presenta una conchiglia che supera il metro di lunghezza, dal guscio piuttosto duro ricoperto di incrostazioni e microrganismi, e può vivere fino a 45 anni, sviluppandosi tra i 3 e i 60 metri di profondità nei fondali sabbiosi o tra le praterie sottomarine di posidonia.
Questo bivalve ha un ruolo fondamentale per l’ecosistema marino e oggi è in pericolo critico di estinzione a causa di un’epidemia provocata da un protozoo parassita del genere Haplosporidium, che ha causato gravi lesioni al tratto digestivo di questi animali, uccidendone a migliaia nel giro di poco tempo. Da qui la necessità di attivarsi subito per la sua tutela e la nascita in Italia del progetto “Life Pinna” con l’obiettivo di ridurre i fattori di rischio che minacciano la sua conservazione e avviare un innovativo programma di ripopolamento.
«Per salvare la Pinna nobilis innanzitutto — spiega Stefano Picchi, direttore esecutivo di Triton Research — è necessario identificare gli individui resistenti, cioè quelli ancora in vita che non giacciono morti sui fondali. Per questo abbiamo dei subacquei esperti che si attivano nella ricognizione; bisogna poi indagare luoghi più sicuri e idonei, tra le praterie di posidonia oceanica dove reintrodurre gli animali, assicurandosi che non siano presenti i patogeni e poi, questo è forse il punto più importante, cercare di sperimentare l’allevamento in cattività con procedure pionieristiche, mai utilizzate finora, creando delle specie di nursery dove allevare i piccoli. L’ultima fase del processo è quella di spostare i nuovi molluschi in quattro aree già selezionate.»
Il progetto quadriennale LIFE Pinna non punta solo a proteggere e monitorare le popolazioni sopravvissute, ma a recuperare la specie nei suoi habitat di riferimento. Già nelle prime fasi del progetto in Alto Adriatico sono state trovate alcune decine di esemplari sopravvissuti che dopo essere stati analizzati dal punto di vista genetico, ora vengono costantemente monitorati. Quelli più esposti e minacciati dalle attività umane sono stati spostati in zone di mare più sicure o negli acquari dei laboratori dove crescono in condizioni protette.